blogger kokkie

martedì 17 febbraio 2015

Sanremo, la verità è che non ti piaccio abbastanza

Non ci siamo perse una serata negli ultimi trent'anni, ma il Festival è maschio. E quindi ingrato


 Il problema di questo Festival di Sanremo, come di tutte le storie d’amore irrimediabile, è stato l’ultimo quarto d’ora. Quello in cui hanno proclamato vincitore Il volo, trio di tenori a stento ventenni, il cui senso può essere individuato solo nella necessità di assicurare accompagnamento musicale adeguato alle nozze di North West, di stirpe Kardashian, e delle altre spose ricche e pretenziose di prossima generazione. Fino a quel momento, per cinque interminabili serate, al festival avevo perdonato tutto. La consacrazione di Albano e Romina a definitiva power couple d’Italia: neanche gli Underwood di House of Cards sanno allestire uno spettacolo così misurato di complicità e stagionato disgusto. L’imposizione di Biagio Antonacci come superospite da onorare a squarciagola: persino io, che di canzoni sceme ne so tante, di Se io, se lei conosco appena il ritornello. L’immancabile collegamento con la Stazione Spaziale Internazionale: Samantha, quando torni a casa? Non ne possiamo più. La coerenza neocatecumenale come scelta stilistica: dai sedici pasciuti figli degli Anania ai signori Manenti sposi anni Cinquanta passando per i girocollo di Emma, valletta penitenziale. E poi l’ostinazione dei comici a non far ridere, di Carlo Conti a parlar di morti, di Arisa a conciarsi da maschera Kabuki che sbuffa. Avevo perdonato tutto, pure gli ascolti bulgari. In cambio mi sarei accontentata di Nek al primo posto, e dell’illusione che Sanremo in fondo avesse un debole per quelle come me, che da giovani si credevano più intelligenti e adesso tifano per chi è invecchiato meglio, ma comunque non hanno mai perso una serata. Invece hanno vinto tre ragazzini brutti ma buoni, che vendono già dischi a milioni. Dischi che io non canterò mai.

Nessun commento:

Posta un commento