Intervista al musicista, produttore, talent scout e leader degli Chic, guest star del concerto che, a Roma, celebra i vent'anni di Radio Capital. Dai vinili con cui ascoltava Nina Simone alla discomusic degli anni Settanta alle super-collaborazioni, passando per la politica: "Ho militato nelle Pantere Nere, oggi Black Lives Matter non è la stessa cosa..."
DAVID Bowie e la disco music, i Daft Punk e lo Studio 54, e poi Avicii, Madonna e i Duran Duran: se c’è qualcuno che riassume perfettamente gli ultimi quarant’anni di cultura pop è senza dubbio Nile Rodgers, leader e chitarrista degli Chic - con cui negli anni Settanta ha scritto inni come Le Freak e Good Times - ma anche l’uomo che ha definito il suono del pop negli anni Ottanta, producendo album come Let’s Dance di Bowie, Notorious dei Duran Duran e Like a Virgin di Madonna. Americano, classe 1952, cresciuto con i dischi di Nina Simone e John Coltrane dei genitori nelle orecchie, Rodgers ha attraversato quattro decenni di musica riuscendo a influenzare ogni genere abbia toccato, dalla disco al pop, dal funk al rock fino alla Edm (Electronic dance music) con la collaborazione con i Daft Punk che, nel 2014, gli ha fatto addirittura vincere tre Grammy rilanciando gli Chic. E proprio con i suoi Chic, domani il musicista salirà sul palco di One Night in Capital, in piazza del Popolo, a Roma, per celebrare i vent’anni di Radio Capital con un’orchestra di sessanta elementi. «E ne sono onorato: l’Italia è stato il primo Paese dove ho iniziato a suonare con una certa regolarità negli anni Settanta».
Perché proprio in Italia?
«Perché la disco music qui era molto popolare, più che in altre parti del mondo e gli Chic erano richiesti a tal punto che finimmo per essere invitati in tutto il Paese e in alcuni dei locali più celebri, come la Bussola di Viareggio. Mi chiamavano il Maestro (ride, ndr), volevano andassi sul palco a mostrare a tutti cos’era la disco. Fu un periodo divertente, anche se poi per qualche anno non venimmo più».
Perché?
«Credo dipendesse dal fatto che non avevamo nessuna hit in classifica, mentre in altri Paesi come la Francia continuavamo a suonare lo stesso. Però dell’Italia ho un ricordo indimenticabile in un momento molto difficile della mia vita».
Quale?
«Fu il periodo immediatamente successsivo alla diagnosi di cancro, nel 2011 (alla prostata, poi completamente curato, ndr). Il mio medico mi aveva consigliato di non fare nulla per un po’. Non lo ascoltai e venni in Italia per partecipare a una trasmissione della Rai, I migliori anni. Oggi posso dire che proprio lì iniziò il mio processo di guarigione, l’attitudine a combattere la malattia».
Lei suonerà per festeggiare i vent’anni di Radio Capital, ma quanto sono state importanti le radio nella sua carriera?
«Più che importanti, sono state fondamentali. Prima che arrivassero in radio, negli anni Settanta le canzoni degli Chic erano ascoltate al massimo da qualche centinaio di persone nei club di New York. Poco dopo, le radio fecero arrivare il nostro suono a milioni di ascoltatori. E nulla fu più come prima».
Nella sua vita invece che peso ha avuto la radio?
«Molto rilevante. Da ragazzo non avevo soldi da spendere in dischi così cercavo di seguire alla radio i conduttori che mi piacevano, cercando di capire quale fosse la musica del momento».
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