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giovedì 29 ottobre 2015

Expo, sei mesi a #CasaCorriere tra musica, spettacolo, arte e incontri





Esplora il significato del termine: re eventi al giorno. Dodicimila caffè. Una lista di ospiti da perderci il conto. Gli attori e i campioni. I politici e i magistrati. I giornalisti. La gente. Questo è stata #CasaCorriere ad Expo. Centottantaquattro giorni a farci storie, quelle degli altri. I lettori che “entravano” dentro il giornale. Per chiedere, consigliare, lamentarsi. E sempre qualcuno con la penna ad ascoltare. Sei mesi da attori non protagonisti, perché i giornalisti dovrebbero essere così. Spettatori e testimoni. E poi come dice a uno che il mestiere lo sapeva fare, Indro Montanelli, alla fine contano solo i lettori. A #Casacorriere sono arrivati in punta di piedi. E ripensandoci una seconda volta, forse valeva la pena rinunciare ai due gradini per entrare nell’”altra” via Solferino. A dire la loro e a raccontarsi. Anche le vite complicate di chi portava una pettorina gialla e la sera doveva tornare in una stanza chiusa dal di fuori. Ci siamo “ammalati” di un contagio positivo, capito che le inchieste che lasciano il segno sono quelle che si fanno con gli altri. E davanti all’ingresso le panchine per sedersi ed ascoltare di tutto. La musica di Bollani e i consigli di Garattini. Le riflessioni di Giovanna Mezzogiorno o le battute fulminanti di Antonio Albanese. Ognuno ci ha messo la faccia. Diversa da quella che, a volte, è la maschera imposta dal mestiere. L’attrice che confida le fatiche di essere mamma, il comico che ti racconta di suo padre muratore che quando morì c’era tutto il paese ai funerali. Il campione di basket venuto dall’America, Chuck Jura, e Milano non gli sembra più quella di una volta. Adesso è uguale a New York e al posto delle case un po’ sbrecciate degli anni Ottanta ci sono i grattacieli slanciati di Porta Nuova. La testimonianza toccante per ricordare l’11 settembre e le parole di quello che scrisse Oriana Fallaci. Le firme del Corriere che ogni volta che venivano ci sentivi l’affetto e la stima. Due nomi per non far torti a nessuno: Ettore Mo e Luca Goldoni. Cronisti che hanno raccontato guerre, alluvioni, sbarchi sulla Luna e con la stessa luce negli occhi e lo stupore intelligente che dovrebbe essere la cifra vera di ogni giornalista. A #CasaCorriere si sono incontrati l’alto e il basso, un melting pot di cose da dire che è stato davvero cibo per la mente. “In questo frastuono è rimasta un’idea, un’eco nel vento”, per dirla con i versi di una canzone. Ma non si sbiadisce il ricordo delle parole pesanti di don Ciotti a ricordarci che la mafia e le mafie non sono solo una brutta notizia da leggere sui giornali e sentire alla tv. Gli stessi trecento-quattrocento seduti o in piedi con le luci e i primi freddi e quella volta c’era Abantantuono. E il prossimo film era quasi un dettaglio. E una piccola-grande judoka, Edwige Gwend, genitori del Camerun e che che parla in parmigiano di quanto sia stupido il razzismo e di quanto sia più emiliana, italiana lei di chi magari ha la pelle con i pigmenti di un altro colore. #CasaCorriere che ci venivano i volontari e gli uomini della sicurezza. E dopo un po’ ci portavano mogli e figli come si fa quando si vanno a trovare gli amici. I carabinieri e i poliziotti a rassicurarti che tutto andava bene e qui era l’Italia come dovrebbe essere sempre. Un posto dove non devi guardarti le spalle e c’è sempre un saluto e un sorriso lungo il decumano. La succursale di via Solferino è diventata anche una piccola Accademia di Brera. Ogni weekend artisti di ogni dove a creare dal vivo. Perché un giornale è anche questo: il veicolo del bello.re eventi al giorno. Dodicimila caffè. Una lista di ospiti da perderci il conto. Gli attori e i campioni. I politici e i magistrati. I giornalisti. La gente. Questo è stata #CasaCorriere ad Expo. Centottantaquattro giorni a farci storie, quelle degli altri. I lettori che “entravano” dentro il giornale. Per chiedere, consigliare, lamentarsi. E sempre qualcuno con la penna ad ascoltare. Sei mesi da attori non protagonisti, perché i giornalisti dovrebbero essere così. Spettatori e testimoni. E poi come dice a uno che il mestiere lo sapeva fare, Indro Montanelli, alla fine contano solo i lettori. A #Casacorriere sono arrivati in punta di piedi. E ripensandoci una seconda volta, forse valeva la pena rinunciare ai due gradini per entrare nell’”altra” via Solferino. A dire la loro e a raccontarsi. Anche le vite complicate di chi portava una pettorina gialla e la sera doveva tornare in una stanza chiusa dal di fuori. Ci siamo “ammalati” di un contagio positivo, capito che le inchieste che lasciano il segno sono quelle che si fanno con gli altri. E davanti all’ingresso le panchine per sedersi ed ascoltare di tutto. La musica di Bollani e i consigli di Garattini. Le riflessioni di Giovanna Mezzogiorno o le battute fulminanti di Antonio Albanese. Ognuno ci ha messo la faccia. Diversa da quella che, a volte, è la maschera imposta dal mestiere. L’attrice che confida le fatiche di essere mamma, il comico che ti racconta di suo padre muratore che quando morì c’era tutto il paese ai funerali. Il campione di basket venuto dall’America, Chuck Jura, e Milano non gli sembra più quella di una volta. Adesso è uguale a New York e al posto delle case un po’ sbrecciate degli anni Ottanta ci sono i grattacieli slanciati di Porta Nuova. La testimonianza toccante per ricordare l’11 settembre e le parole di quello che scrisse Oriana Fallaci. Le firme del Corriere che ogni volta che venivano ci sentivi l’affetto e la stima. Due nomi per non far torti a nessuno: Ettore Mo e Luca Goldoni. Cronisti che hanno raccontato guerre, alluvioni, sbarchi sulla Luna e con la stessa luce negli occhi e lo stupore intelligente che dovrebbe essere la cifra vera di ogni giornalista. A #CasaCorriere si sono incontrati l’alto e il basso, un melting pot di cose da dire che è stato davvero cibo per la mente. “In questo frastuono è rimasta un’idea, un’eco nel vento”, per dirla con i versi di una canzone. Ma non si sbiadisce il ricordo delle parole pesanti di don Ciotti a ricordarci che la mafia e le mafie non sono solo una brutta notizia da leggere sui giornali e sentire alla tv. Gli stessi trecento-quattrocento seduti o in piedi con le luci e i primi freddi e quella volta c’era Abantantuono. E il prossimo film era quasi un dettaglio. E una piccola-grande judoka, Edwige Gwend, genitori del Camerun e che che parla in parmigiano di quanto sia stupido il razzismo e di quanto sia più emiliana, italiana lei di chi magari ha la pelle con i pigmenti di un altro colore. #CasaCorriere che ci venivano i volontari e gli uomini della sicurezza. E dopo un po’ ci portavano mogli e figli come si fa quando si vanno a trovare gli amici. I carabinieri e i poliziotti a rassicurarti che tutto andava bene e qui era l’Italia come dovrebbe essere sempre. Un posto dove non devi guardarti le spalle e c’è sempre un saluto e un sorriso lungo il decumano. La succursale di via Solferino è diventata anche una piccola Accademia di Brera. Ogni weekend artisti di ogni dove a creare dal vivo. Perché un giornale è anche questo: il veicolo del bello.

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